Il dibattito sulla conservazione e la fruizione delle strade militari alpine è comunque sempre di attualità: i post che regolarmente appaiono sui social ci ripropongono l’annoso problema di che cosa fare di queste rotabili realizzate per esigenze difensive tra la fine dell’Ottocento e il Secondo conflitto mondiale, principalmente a servizio delle numerose opere del Vallo Alpino occidentale. Meta di numerosi turisti motorizzati che provengono da tutta Europa, sono molto frequentate nella bella stagione. È indubbio che alcune zone delle Alpi abbiano visto crescere il turismo motorizzato grazie proprio alle strade militari, dando un po’ di fiato all’economia delle valli.
Negli ultimi anni si sono sviluppate due scuole di pensiero: la prima, sostanzialmente alimentata dagli ambientalisti della domenica, per buona parte residenti in città, in continua ricerca di una montagna “bucolica”, si è espressa per la totale chiusura delle strade militari al transito dei mezzi motorizzati: “Lasciamole agli escursionisti a piedi, ai biker” è il suo motto.
Di questo parere anche molti sindaci dei territori attraversati dal tracciato delle arterie stradali. Ed è anche comprensibile, visto dalla loro parte: tranne poche eccezioni, non è mai stato chiaro chi abbia la responsabilità della loro manutenzione, o della transitabilità effettiva, in poche parole della sicurezza del tracciato. E quando un Comune si trova con pochi soldi in bilancio, non può certo permettersi grandi investimenti per sistemare i percorsi montani, siano essi strade o sentieri.
Quindi, anche grazie ad una visione viziata da una certa miopia, diversi sindaci hanno, nel tempo, preferito limitare in parte o del tutto la percorribilità delle strade di alta quota, giustificandola con la scarsa manutenzione dei tracciati. Poi, era opinione diffusa, se su questi percorsi non ci passa più nessuno, si possono anche abbandonare al loro destino, tanto non servono più…. tanti problemi in meno!
Se non che, negli ultimi vent’anni, grazie agli studiosi di storia militare e ai ricercatori, gli amministratori sono finalmente giunti a capire (con grande fatica, aggiungo io) che anche le strade sono reperti di storia e testimonianze uniche di ingegneria militare, che meritano di essere conservate e valorizzate. Il punto di svolta, fra 2005 e 2006, è stata la riscoperta della strada del Colle delle Finestre (e dell’Assietta) e il suo inserimento nel circuito del Giro d’Italia. Altrettanto è stato poi fatto, nelle Alpi Marittime e Liguri, con il recupero della strada militare Limone-Colle di Tenda-Monesi, saggiamente finanziato con fondi della Comunità europea.
Ecco dunque farsi avanti la seconda scuola di pensiero, che propone di non chiudere le strade, ma di regolarne il transito ai mezzi motorizzati, anche attraverso l’istituzione di un pedaggio, i cui proventi servano per la manutenzione dei manufatti.
Finalmente si sono mossi gli enti locali, compiendo grossi passi in vista di progetti di regolamentazione e di valorizzazione, con un occhio di riguardo alle esigenze del territorio.
Proprio come hanno peraltro più volte evidenziato gli imprenditori e i commercianti coinvolti nel dibattito, nel convincere i sindaci e le autorità competenti a tenere aperte tutte le possibilità per far crescere il turismo. Perché se una risorsa attrattiva viene chiusa, quella va in rovina, trascinando con sé tutta l’economia di una zona.
I puristi della montagna obiettano: ma l’escursionista a piedi ha il diritto di camminare liberamente anche su queste strade, evitando di mangiare la polvere sollevata dalle auto e dalle moto. Si, questo è anche vero, però bisogna dire che l’escursionista ha a disposizione, in ogni vallata, di centinaia di altre mulattiere e di sentieri alternativi per le proprie passeggiate domenicali. E voglio aggiungere ancora una considerazione: se non ci fossero le strade di alta quota, quante mete escursionistiche o alpinistiche sarebbero ancora valide? Esempio del Rocciamelone: la salita al monte è possibile in giornata, partendo dalla località La Riposa, che si trova al termine della lunga strada militare Susa-Pampalù-Riposa. Trovatemi qualcuno (sono veramente pochi!) che parta da Mompantero per salire sulla vetta, come si faceva – in due giorni – prima della realizzazione della strada militare. O per il Seguret-Colle Vallonetto, se non ci fosse la strada militare del Pramand, ben pochi lo farebbero dal fondovalle. Occorre che tutti possano frequentare la montagna: non è un parco ad esclusiva fruizione dei puristi, dei nostalgici del bel tempo che fu dell’alpinismo eroico e un po’ romantico, o dei giovani virgulti che si arrampicano su ogni rupe.
Per concludere: chiudere le strade militari equivale condannarle all’oblio perenne. Occorrono manutenzione, regolamentazione e pedaggio, in un’ottica di un vero rilancio turistico delle valli