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L’antica strada militare Colle delle Finestre-Assietta. Il fascino di una testimonianza storica da recuperare e valorizzare

Negli ultimi decenni dell’Ottocento l’Assietta, teatro della famosa battaglia del 19 luglio 1747,era tornata a rivestire un ruolo di primaria importanza per la difesa della frontiera occidentale e la mobilitazione delle truppe mobili: al fine di assicurare convenientemente le sistemazioni difensive del fondovalle, la speciale Commissione per la Difesa dello Stato aveva proposto la creazione di un campo trincerato dotato di una propria organizzazione autonoma, la Piazza Militare dell’Assietta, dipendente in un primo tempo dalla Piazza di Exilles, poi da quella di Fenestrelle.

I lavori sull’altopiano iniziarono nel 1888: per prima fu proprio realizzata la splendida rete di strade militari. L’arteria principale, che è stata abbandonata alla fine degli anni Trenta con la realizzazione del nuovo tratto Pian dell’Alpe-Assietta, aveva origine dal Colle delle Finestre: dopo un primo tratto in salita sulle ripide falde del monte Pintas (dove si possono ancora scorgere i resti dei trinceramenti piemontesi del XVIII secolo), raggiungeva lo spartiacque, che percorreva interamente su entrambi i versanti mantenendosi a quota piuttosto elevata, sempre superiore ai 2000 metri.

Superato il primo lungo tratto a mezzacosta, giunti all’imbocco del suggestivo Vallone della Vecchia, non è difficile scorgere i segni dell’antico passato militare: le rocce che costeggiano il percorso, particolarmente quelle che si trovano al di sotto del caratteristico spezzone roccioso chiamato Dente della Vecchia, sono letteralmente coperte di incisioni fatte dai soldati che in questo luogo trascorsero le lunghe giornate dei campi estivi. È un vero patrimonio di interesse storico (per lo più i graffiti risalgono alla fine dell’Ottocento), con una miriade di nomi propri, citazioni, omaggi alla “Classe di ferro”, rozze riproduzioni dello stemma degli Alpini o dell’emblema dell’Artiglieria.

Superato il Colle della Vecchia, il paesaggio si fa ancora più suggestivo: qua e là si trovano i ruderi di alcune costruzioni, un rifugio-deposito per i cantonieri militari, il Ricovero Colle della Vecchia, la Stazione telegrafica ottica Punta del Mezzodì. Continuando sul percorso storico, si lambisce quasi la cima del Ciantiplagna (2849 metri). A questo punto occorre ricordare anche un dimenticato record automobilistico.

Il 1° settembre 1900 una delle prime automobili, guidata da Gaetano Grosso Campana, consigliere provinciale e sindaco di Frossasco, percorse questa rotabile militare, salendo in quattro ore e mezza dal forte di Fenestrelle fino al Ciantiplagna e all’Assietta. La cronaca di questo episodio fu riportata anche dai quotidiani nazionali: «Partito alle ore 7 da Fenestrelle in compagnia del capitano d’artiglieria signor Fenoglio … intraprese la salita per la strada militare dei forti … al colle della Vecchia e al Ciantiplagna (metri 2849 ) … pervenne alle ore 11 al Gran Serin, dove pranzarono, e di qui al monumento dell’Assietta (metri 2566) … Il Signor Grosso-Campana montava sopra una vettura della forza di 5 cavalli, di fabbricazione nazionale».

Desta ancora interesse la stazione eliografica di Punta di Mezzodì, testimone di un innovativo sistema di comunicazione tra le fortezze della valle, che sfruttava l’uso di apparati di trasmissione riparati in piccole stazioni fisse.

Le stazioni ottiche sono tuttora ben visibili sulla Punta del Mezzodì, sulle sponde del Lago Grande del Gran Serin e alla Batteria Gran Costa: erano costituite da modeste costruzioni di metri 4 per 5, a un solo piano fuori terra. L’interno possedeva un solo locale, che aveva al centro il sostegno del cavalletto dell’apparecchio diottrico posto al vertice delle visuali che, attraverso feritoie orientate, collegavano la stazione agli altri capisaldi.

La stazione ottica di Punta Mezzodì

La stazione ottica della Gran Costa permetteva di comunicare con quella del Lago Grande Gran Serin (Lago Grande) e con il caposaldo della Scala Reale del Forte di Fenestrelle, ancora oggi esistente. Il Lago Grande era in collegamento con la Batteria Pampalù del Rocciamelone e con Susa. Facendo ponte sul Pampalù e sulla stazione di Punta del Mezzodì si potevano inviare messaggi alla stazione del Forte di Exilles, situata nella Seconda Tenaglia; il forte era a sua volta collegato otticamente con Forte Fenil e Forte Sapé. I messaggi, tradotti in codice Morse, venivano trasmessi tramite lampi di luce. Per la trasmissione si disponeva di due tipi di apparecchi: la stazione eliografica, attraverso un sistema di specchi riflettenti di forma quadrata, convogliava i raggi luminosi del Sole in una feritoia diagonale, strettamente orientata nella direzione della stazione ricevente. La stazione diottrica invece, utilizzabile anche nelle ore notturne, impiegava comuni lampade a petrolio a fuoco fisso. In questo caso l’apparecchio disponeva di un riflettore parabolico e di una lente di grande diametro che consentivano di amplificare la debole luce emessa dalla sorgente. Le lampade a petrolio furono più tardi sostituite da cannelli ossiacetilenici e dal più pratico arco voltaico elettrico, alimentato con appositi accumulatori.

Un sistema complesso dunque che, nell’intenzione degli ufficiali del Genio militare di fine Ottocento, avrebbe dovuto garantire la comunicazione tra i forti staccati: in realtà funzionò poco perché, come ognuno di noi ben sa, in montagna la nebbia e la scarsa visibilità non sono poi così rare come gli ideatori di questo mezzo avevano ingenuamente pensato.

Torniamo alla nostra strada. Il tracciato raggiunge il Colle delle Vallette, dove si riconoscono appena i resti di alcuni trinceramenti del XVIII secolo: la storia ci racconta che questo valico fu presidiato dall’esercito del duca Vittorio Amedeo II nel 1708, durante l’assedio al Forte di Exilles e di Fenestrelle. Superati altri colli, tenendosi sul lato Valle di Susa, la strada militare giunge al Colle del Gran Serin, sul quale sorgono i baraccamenti della grande Caserma Difensiva.

Alla nostra sinistra si apre verso il Chisone il bel Vallone dei Morti, il cui nome, contrariamente a quanto si crede, non ha alcuna relazione con la battaglia del 1747, né con la sepoltura dei numerosi caduti dello scontro. Il toponimo appare già nelle carte topografiche risalenti all’inizio del XVIII secolo, dunque precedenti alla famosa battaglia.

Ancora un piccolo strappo ed ecco la Batteria del Gran Serin, che si erge ancora imponente sul sottostante Colle dell’Assietta ad aspettare il suo nemico.

Altre strade minori vengono a raccordarsi al ramo principale consentendo di raggiungere diverse località dell’alta Valle della Dora: dal Gran Serin una bella strada scende all’Alpe d’Arguel, al Pian del Frais e da qui a Meana, consentendo di raggiungere l’Assietta anche dal lato Val Dora.

La strada, come abbiamo detto, servì per consentire la realizzazione della Piazza Militare dell’Assietta con le sue batterie Gran Costa, Gran Mouttas (1893) e Gran Serin (1897).

Negli anni Trenta dello scorso secolo la vecchia rotabile Colle Finestre-Ciantiplagna-Assietta fu abbandonata in favore dell’attuale, che da Pian dell’Alpe consente di raggiungere il Colle dell’Assietta in circa 12 chilometri di percorso, con pendenze decisamente minori rispetto al vecchio tratto.

La strada e le fortificazioni di alta quota erano sfruttate solo in occasione dell’estate, quando i battaglioni di artiglieria da fortezza e le fanterie vi salivano per completare le necessarie esercitazioni a fuoco. 

Per saperne di più:

M. Minola, Il Forte di Exilles, Susalibri 2000.

M. Minola, Assietta. Tutta la storia dal XVI secolo ad oggi, Susalibri 2006.

M. Minola, O. Zetta, F. Coniglio, Chaberton misterioso, Susalibri 2023.

1994-2024 Trent’anni di “Fortezze”

Proprio trenta anni fa, nell’autunno 1994, con il primo volume de “Le fortezze delle Alpi occidentali”, usciva per i tipi dell’editore L’Arciere di Cuneo, la monumentale opera sulle fortificazioni delle Alpi.

Gli autori erano Dario Gariglio e Mauro Minola, due studiosi e appassionati, che già da diversi anni percorrevano i sentieri delle vallate alpine alla ricerca dei segni lasciati dalla storia. Un lungo viaggio alla scoperta di un patrimonio eccezionale di fortezze grandi e piccole, dal forte di Exilles a quello di Fenestrelle, dal forte di Bard a quello di Vinadio e a quelli, pressoché sconosciuti al grande pubblico, dell’Esseillon in Savoia. Fortezze che in quel tempo versavano ancora in uno stato di completo abbandono. Anzi, proprio grazie al nuovo libro e al lavoro di tanti giovani volontari, nascevano le prime associazioni volte al recupero delle antiche mura.

Ma i due autori non si limitarono alle grandi opere: percorsero ogni valle alpina alla scoperta anche delle medie e piccole strutture fortificate, al fine di fornire un quadro completo del vastissimo patrimonio storico e architettonico che giaceva pressoché abbandonato dalla fine del secondo conflitto mondiale. Ogni opera veniva descritta accuratamente in ogni particolare, dalle vicende storiche di cui fu protagonista, all’aspetto esterno e interno, con tanto di spiegazione tecnica sull’armamento e le artiglierie che aveva schierato.

La carta vincente del testo, che conobbe nel giro di pochi mesi un grande successo editoriale, fu quello di non limitarsi solo alle fortezze delle valli alpine italiane, ma di estendersi anche a quelle delle contigue valli della Francia, dalla Savoia alla conca di Briançon, dal Queyras alle valli della Provenza, fino a giungere ai monti che circondano la Val Roya e Nizza. E poi, sempre sul versante italiano, la decisione degli autori di continuare sull’arco delle Alpi Liguri, fino al Colle di Cadibona, termine geografico delle Alpi.

Un’opera che doveva nascere, nelle intenzioni degli autori e dell’editore, con unico volume. Ma che, con il progredire delle ricerche e delle escursioni, e il conseguente aumento del materiale a disposizione, richiese un secondo volume, poi pubblicato ad un anno di distanza dal primo, nell’autunno del 1995.

L’editore, il compianto Enrico Conte, proprietario dell’editrice L’Arciere di Cuneo, si dimostrò realmente di grande vedute: ben pochi allora erano disponibili a pubblicare un’opera di due volumi, ricca di pagine e di fotografie, su un argomento che fino ad allora non sembrava aver suscitato tanto interesse nel pubblico. Invece si rivelò un grande successo: i volumi andarono letteralmente a ruba e si dovettero fare diverse ristampe. Le “Fortezze” riscossero un grande interesse, tanto per gli appassionati che per gli escursionisti e i turisti della montagna. I due volumi sono tuttora ricercati sul mercato antiquario, il secondo è praticamente introvabile.

Per gli autori rappresentò il concretizzarsi di tante gite domenicali su e giù per le vallate e un trampolino di lancio per altri lavori. Con l’avvio di un lungo periodo di presentazioni, conferenze, visite guidate e tanto altro ancora. Soprattutto di approfondimenti, di ricerche, di altre pubblicazioni.

Le “Fortezze delle Alpi occidentali” fu anche il libro che convinse tanti giovani lettori ad appassionarsi allo studio delle fortificazioni e a darsi alla ricerca sul campo e negli archivi.

La via era ormai aperta, c’era una guida che aiutava a trovare sul terreno quelle opere che prima non erano prese in considerazione. Il libro, in trent’anni, ha visto decine di emulazioni. Alcune hanno apportato nuovi e importanti contributi per lo studio delle opere fortificate. Altre si sono limitate a riproporre gli stessi contenuti con l’aggiunta di nuove fotografie..

Dario Gariglio, con una battuta, amava definire il lavoro la “Bibbia delle Fortificazioni”. Non aveva torto. Sono passati trent’anni, il libro vive ancora.

Strade militari: aperte per un turismo sostenibile, diritto di chiunque.

Il dibattito sulla conservazione e la fruizione delle strade militari alpine è comunque sempre di attualità: i post che regolarmente appaiono sui social ci ripropongono l’annoso problema di che cosa fare di queste rotabili realizzate per esigenze difensive tra la fine dell’Ottocento e il Secondo conflitto mondiale, principalmente a servizio delle numerose opere del Vallo Alpino occidentale. Meta di numerosi turisti motorizzati che provengono da tutta Europa, sono molto frequentate nella bella stagione. È indubbio che alcune zone delle Alpi abbiano visto crescere il turismo motorizzato grazie proprio alle strade militari, dando un po’ di fiato all’economia delle valli.

Negli ultimi anni si sono sviluppate due scuole di pensiero: la prima, sostanzialmente alimentata dagli ambientalisti della domenica, per buona parte residenti in città, in continua ricerca di una montagna “bucolica”, si è espressa per la totale chiusura delle strade militari al transito dei mezzi motorizzati: “Lasciamole agli escursionisti a piedi, ai biker” è il suo motto.

Di questo parere anche molti sindaci dei territori attraversati dal tracciato delle arterie stradali. Ed è anche comprensibile, visto dalla loro parte: tranne poche eccezioni, non è mai stato chiaro chi abbia la responsabilità della loro manutenzione, o della transitabilità effettiva, in poche parole della sicurezza del tracciato. E quando un Comune si trova con pochi soldi in bilancio, non può certo permettersi grandi investimenti per sistemare i percorsi montani, siano essi strade o sentieri.

Quindi, anche grazie ad una visione viziata da una certa miopia, diversi sindaci hanno, nel tempo, preferito limitare in parte o del tutto la percorribilità delle strade di alta quota, giustificandola con la scarsa manutenzione dei tracciati. Poi, era opinione diffusa, se su questi percorsi non ci passa più nessuno, si possono anche abbandonare al loro destino, tanto non servono più…. tanti problemi in meno!

Se non che, negli ultimi vent’anni, grazie agli studiosi di storia militare e ai ricercatori, gli amministratori sono finalmente giunti a capire (con grande fatica, aggiungo io) che anche le strade sono reperti di storia e testimonianze uniche di ingegneria militare, che meritano di essere conservate e valorizzate. Il punto di svolta, fra 2005 e 2006, è stata la riscoperta della strada del Colle delle Finestre (e dell’Assietta) e il suo inserimento nel circuito del Giro d’Italia. Altrettanto è stato poi fatto, nelle Alpi Marittime e Liguri, con il recupero della strada militare Limone-Colle di Tenda-Monesi, saggiamente finanziato con fondi della Comunità europea.

Ecco dunque farsi avanti la seconda scuola di pensiero, che propone di non chiudere le strade, ma di regolarne il transito ai mezzi motorizzati, anche attraverso l’istituzione di un pedaggio, i cui proventi servano per la manutenzione dei manufatti.

Finalmente si sono mossi gli enti locali, compiendo grossi passi in vista di  progetti di regolamentazione e di valorizzazione, con un occhio di riguardo alle esigenze del territorio.

Proprio come hanno peraltro più volte evidenziato gli imprenditori e i commercianti coinvolti nel dibattito, nel convincere i sindaci e le autorità competenti a tenere aperte tutte le possibilità per far crescere il turismo. Perché se una risorsa attrattiva viene chiusa, quella va in rovina, trascinando con sé  tutta l’economia di una zona.

I puristi della montagna obiettano: ma l’escursionista a piedi ha il diritto di camminare liberamente anche su queste strade, evitando di mangiare la polvere sollevata dalle auto e dalle moto. Si, questo è anche vero, però bisogna dire che l’escursionista ha a disposizione, in ogni vallata, di centinaia di altre mulattiere e di sentieri alternativi per le proprie passeggiate domenicali. E voglio aggiungere ancora una considerazione: se non ci fossero le strade di alta quota, quante mete escursionistiche o alpinistiche sarebbero ancora valide? Esempio del Rocciamelone: la salita al monte è possibile in giornata, partendo dalla località La Riposa, che si trova al termine della lunga strada militare Susa-Pampalù-Riposa. Trovatemi qualcuno (sono veramente pochi!) che parta da Mompantero per salire sulla vetta, come si faceva – in due giorni – prima della realizzazione della strada militare. O per il Seguret-Colle Vallonetto, se non ci fosse la strada militare del Pramand, ben pochi lo farebbero dal fondovalle. Occorre che tutti possano frequentare la montagna: non è un parco ad esclusiva fruizione dei puristi, dei nostalgici del bel tempo che fu dell’alpinismo eroico e un po’ romantico, o dei giovani virgulti che si arrampicano su ogni rupe.

Per concludere: chiudere le strade militari equivale condannarle all’oblio perenne. Occorrono manutenzione, regolamentazione e pedaggio, in un’ottica di un vero rilancio turistico delle valli

Un po’ di curiosità: la storia dell’obelisco dell’Assietta

Poco prima che iniziassero i lavori per la piazza militare dell’Assietta si diede mano alla costruzione del monumento a ricordo della battaglia. Il primo monumento fu eretto il 21 luglio 1878 sulla Testa dell’Assietta ad opera della sezione di Pinerolo del Club Alpino Italiano. Il cippo, con l’aquila che teneva tra gli artigli lo stemma sociale del CAI, fu collocato proprio sulla vetta del monte, in corrispondenza della famosa Butta, dove più cruenti erano stati gli scontri.  Ebbe una vita piuttosto breve: nell’agosto del 1881 fu trovato infatti gravemente danneggiato, con la lapide infranta e l’aquila spezzata. Del fatto furono, fin da subito, ritenuti responsabili i francesi: si ipotizzò infatti che alcune spie, travestite da escursionisti, si fossero portate in zona per osservare i lavori alle nuove fortificazioni. Nel tornare in patria, questi sedicenti turisti distrussero con le piccozze il monumento che ricordava la cocente sconfitta dell’Armata francese. Si era in piena stagione triplicista e i transalpini finivano senza problemi ad essere i capri espiatori di ogni malvagità: tuttavia, dopo accurate indagini effettuate dai carabinieri della stazione di Fenestrelle, si poté stabilire la paternità dell’episodio di vandalismo, di cui erano in realtà responsabili alcuni ragazzi – anche allora un po’ vivaci! – di Pourrières.

In pieno clima antifrancese, fu subito decisa la ricostruzione del monumento. Le sezioni del CAI di Pinerolo, Susa e Torino misero insieme le loro forze, costituirono un comitato e dopo una capillare raccolta di fondi, arrivarono ad una nuova inaugurazione nel luglio 1882. Il monumento, elevato in pietra a forma di piramide a base quadrata, ebbe un progettista di eccezione, l’ingegner Riccardo Brayda, grande restauratore di castelli e di opere del passato. I blocchi di pietra furono invece scolpiti dallo scultore Davide Calandra di Torino.

La posa del monumento fu opera dell’impresa del biellese Maggia, che, proprio in zona, stava lavorando alla realizzazione delle rotabili militari. L’obelisco reca sulla sommità l’originaria aquila ad ali spiegate, già posta sul precedente cippo; sui fianchi erano invece postate alcune lapidi in bronzo con le epigrafi dedicate ai caduti della battaglia e due corone di fronde e di alloro fuse in bronzo. Il monumento fu inaugurato con una solenne cerimonia il 23 luglio 1882, alla presenza dei rappresentanti del re e dell’esercito italiano e degli addetti militari di Francia, Spagna e Austria. Parteciparono alla cerimonia, tra autorità civili, militari, religiose e locali e i moltissimi soci del CAI, circa 5000 persone. Si può ritenere questo il primo grande raduno della Festa dell’Assietta.

 

LO CHABERTON DI CARTA … per conoscere meglio il forte più alto d’Europa

Diversi autori, dal dopoguerra ai giorni nostri, si sono occupati della storia della batteria dello Chaberton. Citare tutti gli articoli apparsi sulle riviste è un lavoro decisamente lungo, che si può serenamente rimandare nel contesto di un lavoro specifico di ricerca bibliografica. Ci atterremo in questa sede ad una rapida disamina dei testi editi.

Partiamo da un saggio che ha decisamente fatto scuola, il primo testo scientifico e storico sulla storia di questa fortificazione: Distruggete lo Chaberton di Edoardo Castellano (Editore Il Capitello), ricco di informazioni e di preziose fotografie d’epoca. È la base di ogni appassionato: tra l’altro Castellano, scrivendo negli anni Ottanta, poté ancora disporre di una grande quantità di informazioni, rese dai reduci del presidio durante le lunghe conversazioni ed interviste che ebbe con loro. È un libro che non deve mancare sullo scaffale degli appassionati, anche se, alla luce delle nuove ricerche, è ormai un po’ datato (è uscito nel lontano 1983): purtroppo la precoce scomparsa dell’autore, non permise di continuare gli aggiornamenti e di sfruttare il cospicuo materiale che aveva messo da parte in attesa di un approfondimento.

 Anni Novanta: la pubblicazione dei due volumi delle Fortezze delle Alpi occidentali (1994-95, editore L’Arciere, da tempo ormai esauriti) di Mauro Minola e Dario Gariglio e de La Montagna fortificata di Pier Giorgio Corino (1993, editore Melli, esaurita) riaccende l’interesse sulle fortificazioni delle Alpi, di conseguenza anche lo Chaberton ritorna al centro dell’attenzione. Arrivano anche le belle pubblicazioni di Sylvie Bigoni, in particolare Lo Chaberton e le fortificazioni della Tagliata di Clavière (2009), che, dipendendo dalle precedenti opere, non aggiunge molto alle conoscenze storiche, ma è impreziosito dalle suggestive e accattivanti fotografie del forte delle nuvole.

Nel 2006 Pier Giorgio Corino esce con La Batteria dello Chaberton (Elena Morea editore, esaurito), un testo di ricerca che approfondisce le tematiche già trattate dal Castellano, con un occhio di riguardo anche per le numerose fortificazioni della zona di Cesana. Come di consueto l’autore, mette sapientemente a disposizione degli appassionati e degli studiosi il suo vasto materiale di ricerca, permettendo di far luce su alcuni quesiti che le precedenti trattazioni non avevano messo in evidenza.

Nel 2014 Mauro Minola e Ottavio Zetta ritornano sull’argomento con Il mito dello Chaberton. Storia ed escursioni (editore Susalibri, disponibile), testo moderno e snello, rigorosamente aggiornato sulle ultime ricerche storiche relative alla fortificazione. Il libro viene distribuito con il quotidiano La Stampa di Torino ed è subito un successo, tanto che deve essere ristampato una seconda volta per soddisfare le numerose richieste. Grazie all’opera dei due autori, da molti anni ben conosciuti per le loro ricerche sulle fortificazioni delle Alpi (in particolare del Moncenisio), lo Chaberton lascia la fascia cosiddetta di nicchia degli appassionati e diventa popolare anche presso il grande pubblico; lo si nota perché, ogni estate, aumenta la folla di escursionisti che raggiunge la vetta per visitarne i resti sempre più degradati.

Nel 2015 esce il primo volume della documentata trilogia di Roberto Guasco dal titolo L’Artigliere dello Chaberton (2015-17, editore Quaderni Alpitrek, disponibile). L’opera è stata suddivisa in tre volumi formato A4 per accogliere interamente l’immensa e interessante raccolta fotografica d’epoca, con immagini degli archivi privati dei reduci e dei costruttori della fortificazione, che l’autore ha messo da parte in diversi anni di ricerca sul campo. Le numerose immagini sono accompagnate da un testo ricco di informazioni, ma soprattutto di toccanti ed avvincenti testimonianze orali che permettono di ricostruire, non soltanto la struttura tecnica della batteria, ma anche la vita e le vicende degli uomini del presidio del forte più alto d’Europa.

Insomma, per tutti coloro che sono stati contagiati dalla Chabertonite, non mancano libri per approfondire ed evitare i soliti luoghi comuni e le false convinzioni prive di fondamento che, purtroppo, si leggono ancora oggi sui social.

ONORE AL “VECCHIO E VALOROSO CHABERTON”

 

Tra pochi giorni, nel commemorare a Cesana la battaglia delle Alpi, ricorderemo il valore di quei soldati italiani che sull’intero fronte alpino, sotto il fuoco dell’artiglieria francese, compirono il loro dovere con spirito di abnegazione, fedeli al giuramento che avevano prestato al Re e alla Patria.

Ricorderemo anche il “vecchio e valoroso Chaberton”, simbolo dell’uomo che, fiducioso della scienza e della tecnologia, vince le avversità della natura selvaggia per costruire un forte su una delle vette più alte delle Alpi.

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Il grande ritorno dello Chaberton

Gaf Chaberton Due belle giornate di sole hanno accompagnato le manifestazioni promosse dalla neonata Associazione “Monte Chaberton 515 batteria Guardia alla Frontiera”. Sabato 25 giugno la toccante commemorazione dei caduti del 1940 al monumento di Cesana, alla presenza delle autorità cittadine, regionali e militari, anche francesi. Domenica 26 giugno la salita al monte, la visita e lo schieramento di un plotone di artiglieri della GaF curato dall’ASFAO di Boves per rendere gli onori ai dieci caduti e cinquanta feriti e al reparto che combatté la battaglia dello Chaberton (21-24 giugno 1940).

Complimenti per la perfetta riuscita di un evento che mantiene ben viva la testimonianza di quei lontani eventi!

chaberton tabasso